sábado, 6 de junio de 2015

DANIELA MAINENTI - PALERMO - ITALIA




La Giustizia Amministrativa tra nuovo modello regionale e modello federale”
 
 La giustizia siciliana: un unicum nel panorama italiano. Possibile come modello da esportare?
*Di Daniela Mainenti

Dato che l’elemento caratterizzante il modello siciliano della giustizia amministrativa è costituito dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, è da questo che bisogna prendere le mosse, al fine di valutarne, ad oltre cinquant’anni dalla istituzione, le principali caratteristiche, e la compatibilità della disciplina che ne regola la costituzione ed il funzionamento con i principi costituzionali, alla luce della loro corrente interpretazione, anche con riferimento alle profonde modifiche che al sistema della tutela giurisdizionale sono state recentemente introdotte.
Tale esame è tanto più opportuno se si tiene conto del fatto che il Consiglio di Giustizia Amministrativa è caratterizzato da una duplice difformità, una duplice anomalia: è un organo a composizione mista (magistrati togati e laici) che decide appelli proposti avverso sentenze di un organo, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, interamente composto, come tutti i TAR, da magistrati togati; è un organo composto in parte da membri designati dalla Regione che decide in via definitiva - e con competenza territoriale derogabile, tale essendo quella dei giudici di primo grado - anche su atti di autorità statali, centrali , e periferiche sedenti in Sicilia.
 
La base costituzionale del Consiglio di Giustizia si rinviene, come è noto, nell’art. 23 dello Statuto siciliano, secondo il quale “Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione” (1° comma); “Le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti svolgeranno altresì le funzioni rispettivamente consultive e di controllo amministrativo e contabile” (2° comma); “I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione, sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato” (4° comma; il 3° comma non interessa il tema della relazione perché concerne la nomina dei magistrati della Corte dei conti).
La previsione statutaria invero non è ascrivibile all’autonomia regionale, neppure a quella, decisamente spinta, prefigurata dallo Statuto siciliano (ma solo in parte vigente nella costituzione materiale). L’autonomia consiste, infatti, nell’attribuzione di competenze legislative ed amministrative alla Regione, mentre quello prefigurato dall’art. 23 è un decentramento territoriale di organi giurisdizionali statali.
L’una e l’altro si devono attribuire, quanto alle origini, alle aspirazioni dei siciliani, particolarmente vive nel 1944-45, ma risalenti alle vicende del 1860-61, delle quali i costituenti siciliani avevano avuto tramandata la memoria.
Limitando l’esame all’argomento che ci interessa, è da rammentare che la previsione statutaria di cui all’art. 23 rispondeva ad un mai sopito rimpianto dei siciliani ed in particolare del foro, lasciato dalla soppressione, con l’unificazione attuata nel 1923, della Corte di Cassazione di Palermo.
Ma la tradizione era ancora più antica: risaliva (a volere trascurare il passato più remoto) all’ordinamento del Regno delle Due Sicilie. Aveva sede in Palermo, distinta da quella di Napoli, la Corte suprema di giustizia, vale a dire la Corte di cassazione. Ed allorché, dopo la restaurazione, fu ripristinato il contenzioso amministrativo, furono costituite, quali giudici di prima istanza in materia di contratti, lavori e forniture delle amministrazioni centrali, due Gran Corti dei Conti, una per la parte continentale del Regno (“domini al di qua del Faro”) e l’altra per la Sicilia (“domini al di là del Faro”), con sede in Palermo. L’appello era portato alle due Consulte di Stato, l’una per le province continentali e l’altra per la Sicilia. Soppresse queste ultime con l’unificazione, le due Gran Corti dei Conti continuarono a funzionare sino alla legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865.
I cenni che precedono non devono essere intesi come una apologetica rievocazione, la quale sarebbe oggi priva di senso, ma come una spiegazione delle ragioni storiche ed ideologiche che determinarono, in sede di elaborazione ed approvazione dello Statuto siciliano, l’introduzione della previsione (significativamente presente in tutti e quattro i progetti di Statuto che furono predisposti relativa al decentramento delle giurisdizioni superiori ed anche di quella che un tempo era la giustizia ritenuta, vale a dire il ricorso straordinario). E’ solo la tradizione che può spiegare l’art. 23 St., il quale costituisce indubbiamente un unicum.
  La norma statutaria è stata attuata pienamente soltanto per quanto concerne la Corte dei conti, della quale è stata istituita con D. lgs. 18 giugno 1999, n. 200, una sezione giurisdizionale di appello. Non ha avuto alcun seguito per quanto concerne la Corte di cassazione.
Relativamente alla giurisdizione amministrativa, la previsione statutaria ha avuto applicazione con il decreto legislativo presidenziale 6 maggio 1948, n. 654 (approvato dal Consiglio dei Ministri nell’esercizio della potestà legislativa che gli apparteneva durante il regime costituzionale provvisorio), con il quale, in luogo delle previste sezioni del Consiglio di Stato, venne istituito il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (con competenza d’appello sulle decisioni delle Giunte provinciali amministrative, di unico grado sugli atti dell’amministrazione regionale e delle altre autorità amministrative aventi sede nella Regione, e di primo grado, con appello all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sugli atti delle autorità amministrative dello Stato).
Ad opporsi alla piena attuazione della norma statutaria fu il Consiglio di Stato, il quale, con parere dell’Adunanza Generale 11 luglio 1946, n. 78 (Presidente dell’Istituto era Meuccio Ruini), si pronunziò in senso nettamente contrario alla istituzione delle sezioni del Consiglio di Stato, assumendo che essa avrebbe compromesso “l’unità del sistema giuridico nazionale”, ed a favore della istituzione “di un organo regionale con funzioni consultiva e giurisdizionale esercitate da due distinte Sezioni, e con ordinamento analogo a quello del Consiglio di Stato”
Fino a che punto fosse, non già semplicemente riduttiva, ma palesemente in contrasto con la previsione statutaria, la posizione dell’Adunanza Generale, risulta particolarmente evidente se si tiene conto del fatto che, secondo quanto si legge nel parere, la funzione consultiva dell’istituendo organo, opportunamente ampliata, avrebbe dovuto assorbire quella dei Consigli di prefettura, mentre la funzione giurisdizionale avrebbe dovuto sostituirsi a quella delle Giunte Provinciali Amministrative. In altri termini si sarebbe trattato di un organo di giustizia amministrativa di primo grado, quale poi fu previsto dall’art. 125 della Costituzione (approvata successivamente).
La formula che troviamo nel decreto istitutivo del 1948 fu il frutto di un accordo tra il Presidente del Consiglio di Stato, Ferdinando Rocco, e Don Luigi Sturzo. E’ da supporre che Sturzo deve avere faticato non poco per convincere Rocco a convenire la soluzione che fu adottata. Lo si desume dalla circostanza che nel discorso di insediamento di Rocco alla Presidenza del Consiglio di Stato si legge del “grido di allarme del nostro Consesso, che nello smembramento della giustizia ha ravvisato un pernicioso attentato alla unità della sovranità dello Stato, di cui la giustizia è gelosa espressione”. E più avanti si paventa “la disintegrazione dell’unitarietà delle sue funzioni consultive e contenziose, conquista ormai intangibile”. Si ribadisce poi la proposta di istituzione in ogni Regione di un organo di giustizia amministrativa in sostituzione delle Giunte Provinciali Amministrative.
Quanto le preoccupazioni del Consiglio di Stato e dei suoi massimi esponenti fossero infondate è di tutta evidenza. Basti considerare che quel che lo Statuto voleva era soltanto un decentramento territoriale, vale a dire la istituzione di due nuove sezioni, l’una giurisdizionale e l’una consultiva, interamente composte come tutte le altre sezioni del Consiglio di Stato, con un’unica differenza: anziché avere sede a Roma, avrebbero avuto sede a Palermo.
Per contro, a volere adottare una visione rigorosa dell’esigenza dell’unitarietà della giurisdizione, è semmai la composizione mista disposta con il decreto istitutivo che avrebbe potuto suscitare delle preoccupazioni. Le quali invero furono subito dissolte per merito del buon funzionamento dell’organo, a partire dalla sua costituzione, dovuto soprattutto alla elevata qualità dei magistrati che vennero chiamati a comporlo, alla passione e all’orgoglio con cui essi svolsero le loro funzioni, ed alla felice scelta che caratterizzò le designazioni dei non togati da parte della Regione.
Di tutto questo rendono testimonianza in particolare le quattro relazioni del Consiglio di Stato al Presidente del Consiglio dei Ministri che vanno dal 1947-51 al 1961-65, per ciascuno delle quali un’apposita appendice, costituita da un corposo volume, è interamente dedicata al Consiglio di Giustizia Amministrativa.
Nelle relazioni dei successivi periodi, il Consiglio di Giustizia Amministrativa scompare perché evidentemente non v’è nessuno disposto a scrivere l’appendice che lo riguarda, ma l’attività del Consiglio in tutti questi anni è testimoniata dalle sentenze e dai pareri che esso ha prodotto, la cui qualità è dovuta ancora, come già negli anni della fondazione, alla circostanza, fortunata per la Sicilia, che hanno chiesto di farne parte magistrati di grande spessore professionale (oltre che umano).
 
La inderogabilità della competenza del sistema costituito dal TAR Sicilia e dal CGA farebbe venire meno l’anomalia della quale si è detto riguardo agli atti statali in quanto assicurerebbe che i giudizi attribuiti a tale sistema sarebbero esclusivamente quelli riguardanti atti delle autorità statali centrali aventi efficacia soltanto nell’ambito del territorio della Regione siciliana. Una tale previsione sarebbe pienamente conforme allo spirito della norma statutaria quale risulta dai lavori preparatori. I costituenti siciliani volevano che tutte le controversie avessero “in Sicilia il loro intiero e totale svolgimento” 
Le considerazioni sinora svolte, ed in particolare gli auspici espressi circa la piena attuazione dell’art. 23 dello Statuto, e/o le possibili modifiche della disciplina del Consiglio di giustizia, non devono essere intese come una critica al funzionamento del sistema siciliano.
Al contrario si deve affermare che l’esperienza di oltre un cinquantennio, ed in particolare quella successiva alle sentenze, in concreto normative, della Corte costituzionale e dell’Adunanza plenaria, che vede il CGA come giudice di appello su tutte le sentenze del TAR Sicilia, si è rivelata felice.
E non soltanto per l’ovvia ragione della vicinanza fisica dell’organo, sedente nel capoluogo dell’isola, ma perché abbiamo un unico giudice di appello che si occupa solo delle sentenze di un unico TAR, sebbene articolato in sede e sezione staccata, e, nell’ambito di ciascuna di esse, in sezioni interne.
Ne discendono due grandi vantaggi. In primo luogo la specializzazione. La normazione regionale è ormai imponente, e, per la specialità dello Statuto, i tratti nei quali essa si differenzia dalla disciplina statale sono consistenti. Poiché l’avvicendamento dei componenti del Consiglio di giustizia è sempre graduale, i giudizi in appello sono sempre esaminati da un collegio che ha acquisito una esperienza notevole diuturnamente accresciuta.
In secondo luogo l’unicità del giudice di appello comporta che gli aggiustamenti della giurisprudenza del giudice di primo grado risultano più agevoli e più sicuri
Infine, per quanto concerne la esportabilità del modello, è agevole osservare che, proprio per le anomalie delle quali si è parlato, il modello siciliano non è esportabile.

*Daniela Mainenti: 
Professoressa diritto processuale penale e comparato Link Campus University    Palermo
Research Director of Ruo e Director of The International Seal

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