sábado, 20 de febrero de 2016

GIUSEPPINA TORREGROSSA - PALERMO - SICILIA



Sono nata a Palermo, ho tre figli e un cane. Mi sono laureata in medicina presso l’università di Roma “La Sapienza”, sono specializzata in ginecologia ed ostetricia; ho conseguito un dottorato di ricerca in perinatologia, scienza che indaga il benessere fetale durante il terzo trimestre di gravidanza e la prima settimana di vita neonatale. Ho svolto la mia attività professionale a Roma, presso la clinica ostetrica dell’università di Roma – policlinico Umberto I.
Ho ricoperto numerose cariche nelle associazioni di utenti:
Negli organismi istituzionali di parità:
Ho collaborato con articoli di divulgazione scientifica a molti quotidiani e riviste, tra i quali:
Nel tempo libero scrivo storie di vita vissuta.

I LIBRI: 






lunes, 15 de febrero de 2016

ANDREA GANDINI - ROMA - ITALIA



Le sculture di Andrea Gandini, il diciottenne che dà nuova vita agli alberi romani.
Zaino in spalla, un diciottenne si aggira per le strade della capitale. L’obiettivo: far rivivere i tronchi d’albero che costellano Roma con le proprie sculture.












Facebook:  https://www.facebook.com/Andrea-Gandini-1580599942199930/?notif_t=fbpage_fan_invite

jueves, 11 de febrero de 2016

SONJA RADAELLI - GIALLO DIETRO LE SBARRE - NUOVO LIBRO - MILANO - ITALIA





Parte del libro:
Sonja Radaelli



GIALLO DIETRO LE SBARRE


Romanzo
Di Sonja Radaelli





Coloro che abiurano la violenza, possono farlo perché ci sono altri
che la commettono per loro conto”
George Orwell





Parte prima



I





“Dottor Allen?”
“Sì, sono, io chi parla?”
“Sono Thomas Mayr, vorrei anticipare l’appuntamento di questa settimana se è possibile.”
“Mi dia un attimo, controllo in agenda. Potrei riceverla venerdì alle 17.30, le va bene?”
“Direi di sì, la ringrazio, a venerdì.”

Thomas Mayr abbassò il ricevitore e guardò la scatola malconcia di fronte a lui pregna dell’odore inconfondibile di carta bruciata. Allungò la mano e con delicatezza prese una manciata di fogli che erano al suo interno, li posò sul tavolo, si aggiustò gli occhiali alla radice del naso e con gesti lenti e misurati si mise a dividerli. Da oltre tre settimane stava esaminando quella risma di carte impilate alla rinfusa dentro la scatola di latta che, sotto gli evidenti segni dell’incendio, lasciava intravedere alcune tracce di colore giallo. Per quanto fosse impossibile decifrare il contenuto di alcuni passaggi, la maggior parte del manoscritto non aveva subito danni e l’unico indizio che si fosse miracolosamente salvato dal rogo, era il tipico odore acre che sprigionava ogni singolo foglio.
Thomas Mayr era venuto in possesso di quella scatola in modo imprevisto.
Il suo studio dentistico, avviato ormai da sei anni e sito nella parte occidentale della città di McAlester, distretto di Pittsburgh in Oklahoma, non aveva avuto il successo sperato, i pazienti scarseggiavano e quei pochi guardavano con diffidenza quel ragazzone dalla mascella virile, la dentatura perfetta, che superando il metro e novanta pareva più adatto a un ruolo da giocatore di rugby. Ogni volta che ne faceva accomodare uno sulla sua Quiromed, una costosissima poltrona di ultima generazione, il dottor Mayr aveva come l’impressione che i suoi pazienti si sentissero condannati a morte, nonostante cercasse sempre il miglior modo per tranquillizzarli, cosa che probabilmente rendeva ancora più nervosa la persona seduta.
Si era laureato in odontoiatria da ormai sette anni e per un breve periodo, dopo il dottorato aveva fatto tirocinio in un piccolo studio dentistico della città.
Erano stati in seguito i genitori a finanziare il progetto di apertura di uno studio dentistico tutto suo, orgogliosi di quel loro unico figlio nato che già entrambi non erano più giovanissimi, particolare che l’aveva discriminato spesso nei primi anni scolastici quando gli amichetti chiedevano immancabilmente come mai vivesse con i nonni e non con mamma e papà. Aveva sofferto molto in quel periodo per la mancanza di tatto dei coetanei, anche perché lui adorava i suoi genitori, soprattutto la mamma che era ancora bellissima e divertente, molto più di certe madri dei suoi compagni che al contrario sembravano sempre arrabbiate e confuse. Le cose erano pian piano migliorate negli anni, l’amore incondizionato per i genitori e la consapevolezza che renderli fieri dei suoi successi fosse un suo dovere, avevano fatto sì che s’impegnasse al massimo nell’ambito scolastico e non solo. Ogni sera al suo rientro a casa, trovava del buon cibo cucinato dalla madre e suo padre che aspettava il suo arrivo trepidante e con già in mano il dvd della serie di telefilm – Ellery Queen – della quale entrambi erano appassionati. Restare a casa con gli anziani genitori non era un sacrificio per Thomas che amava la quiete e la buona tavola.

"Non c’è nulla di più rasserenante che lavorare per qualcuno impedito fisicamente a parlarti fino al compimento del lavoro stesso." diceva a sua madre quando gli chiedeva della sua attività e da qui l’idea che fosse giunto il momento per Thomas di avere uno studio dentistico tutto suo.
Una volta localizzato il quartiere e trovato i locali, i lavori erano iniziati pochi mesi più tardi, così come le complicazioni e i dispiaceri. La morte repentina dei genitori a distanza di pochi giorni uno dall’altra, era stato un duro colpo per Thomas, sebbene fossero ormai molto vecchi, nulla faceva presagire l’imminente dipartita di entrambi.
Il dolore del distacco si sommava al rammarico di non vederli orgogliosi dello studio dentistico ‘Dottor Thomas Mayr – Denti sani, denti perfetti’ la cui inaugurazione era prevista per la fine di quello stesso mese.
Thomas avrebbe voluto rimandare la festa, ma l’agenzia alla quale si era rivolto per organizzare l’evento, era stata categorica: qualora non avesse rispettato la data, l'anticipo non gli sarebbe stato rimborsato e il contratto sarebbe stato da considerarsi nullo. Si trattava di una cifra considerevole e non gli sarebbe stata restituita. L’agenzia gli aveva in ogni modo fatto notare che si erano già attivati con pubblicità, spot radiofonici e televisivi che annunciavano da settimane l’apertura dello studio dentistico e che il servizio di catering attivato per il rinfresco, avrebbe sicuramente preteso il pagamento del settanta percento della somma pattuita. Quell’inutile spreco di denaro e la convinzione che sua madre avrebbe disapprovato, lo convinsero che l’inaugurazione avrebbe in ogni modo avuto luogo.
All’evento giunsero in molti, per lo più parenti che si erano fermati in città pregustando per l’occasione un'ulteriore abbuffata. Vestivano gli stessi abiti scuri e rigorosi che avevano indossato durante la cerimonia funebre della mamma e sui loro visi era stampata un'espressione commossa e triste che poco si addiceva a una festa. Chi si avvicinava gli stringeva la mano, sorrideva e gli porgeva le condoglianze per la grave perdita, tralasciando di congratularsi per la nuova impresa, cosa della quale in altre parole, anche lui non sentiva il bisogno, ma che l’evento avrebbe richiesto.
Insomma, quello che avrebbe dovuto essere un giorno solenne, si era risolto con una veglia funebre.
"Se questa non è sfortuna!" aveva urlato una volta rimasto solo nella sala d’aspetto arredata con morbide poltroncine di alcantara azzurra che avrebbero accontentato il gusto di grandi e piccini. Si era pentito all’istante di quel suo scatto d’ira pensando ai genitori morti e quando l’indomani non era riuscito nemmeno ad alzarsi dal letto e aveva passato l’intera giornata a guardare i telefilm di Ellery Queen senza nemmeno preoccuparsi di recarsi al nuovo studio, aveva decretato che il baratro era ormai troppo vicino, urgeva l’intervento di uno specialista. Il nome del dottor Allen, psicoterapeuta, fu il primo che apparve aprendo la pagina di ricerca su Google. Non esitò un attimo e compose il numero. Tre giorni più tardi, iniziò la terapia che ancora adesso seguiva se pure a cadenza irregolare.
Ma i fatti che seguiranno, nulla hanno a che vedere con la sfortuna, o almeno, certe storie avrebbero potuto o dovuto avere un finale più accomodante, ma la vita non è mai comoda, tutto ha un peso e una misura e gli eventi non sempre sono controllabili, come ciò che avvenne la mattina di circa un mese più tardi.
Era una calda giornata di primavera inoltrata e Thomas come sempre si aggirava per lo studio deserto 'Dottor Thomas Mayr – Denti sani, denti perfetti' canticchiando il motivetto della sigla di Ellery Queen, mentre spolverava le dieci poltroncine, il tavolino di cristallo con le riviste per mamme e bambini oltre ad alcune di sport e caccia e pesca che riordinò di nuovo, anche se nessuno da giorni ne aveva presa in mano una. Thomas guardò fuori dalla finestra con aria perplessa e si sporse quel tanto che bastava per controllare se dall’angolo della via ci fosse qualcuno di passaggio intenzionato a farsi cavare un dente o anche per una semplice otturazione. Qualsiasi cosa, purché chicchessia sedesse a bocca aperta sulla sua costosissima poltrona. Le sue preghiere furono esaudite quando un'utilitaria malconcia e di un inquietante color pisello, si fermò proprio all’inizio del vialetto. Il dottore si ritirò dalla finestra appena in tempo, prima che la donna che era scesa dall’auto potesse vederlo.
La signora si presentò col tipico atteggiamento di chi è affetto da un ascesso in bocca, nulla di drammatico, ma di certo il dolore e il fastidio della gota gonfia e incandescente, dovevano averla indotta a rivolgersi a un dentista. Con l'espressione affranta, lo sguardo spento, l'occhio lucido strizzato in un ammiccamento fisso e l'angolo della bocca piegato in una smorfia dolente, era stata chiara da subito, lei il suo dentista di fiducia ce l’aveva, è che era assente in quel momento - viaggio di nozze - aveva precisato come fosse tenuta ad una giustificazione plausibile di causa di forza maggiore. Il dottor Mayr aveva fatto del suo meglio, l’aveva visitata e prescritto un antibiotico da assumere ogni otto ore per una settimana e se la signora avesse voluto, avrebbe potuto provvedere lui all'estrazione la settimana successiva.
“Credo che non potrò aspettare che rientri il mio dentista, d’accordo, tornerò da lei.” gli aveva detto poco convinta.
“Grazie.” aveva risposto sorridendo di circostanza, certo che fosse solo una scusa della paziente per togliersi d'impiccio.
Nonostante le previsioni, Lisa Giulia Orwell era tornata come promesso, rassegnata e puntuale al suo secondo appuntamento, l'emergenza era rientrata, il dolore sparito, si era sistemata sulla favolosa Quiromed e si stava affidando alle sue cure.
Una bella mora tendente al rosso, con grandi occhi scuri, trentun anni, due meno di lui, come recitava la scheda medica che diligentemente aveva compilato in occasione della prima visita. Ed era single, questo particolare era stato in seguito ripetuto da lei stessa al momento della prima somministrazione dell’antibiotico. Non ricordava il perché avesse voluto precisarlo, ma poco importava, di certo quella giovane donna attraente non poteva essere interessata a lui, di questo era certo, poiché lui stesso si riteneva uno qualunque, uno che non lascia il segno.
L’estrazione fu un successo, nessuna complicazione, la somministrazione di anestetico iniettata in ben tre punti intorno al molare superiore destro, gli aveva permesso di lavorare in tutta tranquillità e con l'assoluta certezza che la paziente non avrebbe accusato alcun dolore, se non l'impercettibile puntura della punta dell'ago che peraltro, la signora Orwell sembrava non aver percepito. Il dottor Mayr usava un piccolo trucco per i pazienti più fifoni, una goccia di anestetico sulla parte, prima di penetrare la gengiva. Per quanto si fosse mostrata tranquilla, lui sapeva che un fondo di timore è comunque insito in chi spalanca le fauci davanti ad un volto imbavagliato e una mano armata di ferri pronti a esplorare il cavo orale e non voleva rotture di palle; la sua assistente non c'era e non doveva correre il rischio di un eventuale gesto inconsulto. Tracciò una piccola incisione col bisturi, usò la pinza ed estrasse il dente che uscì al primo tentativo senza alcuno sforzo. Suturò la ferita con tre punti dopo di che le mise tra le mani una busta di ghiaccio secco da tenere sulla guancia per qualche minuto e il blister con le capsule dell’antibiotico.
Benché frastornata e sotto l’effetto dell’anestesia, la donna non aveva accettato il suo consiglio di tornarsene a casa; nel giro di un paio di ore l'anestesia sarebbe stata completamente smaltita e un indolenzimento generale, se non un accenno di dolore, sarebbe rientrato più velocemente se fosse rimasta a riposo.
“Devo rientrare al lavoro, ho un turno di otto ore, prenderò un analgesico nel caso.” e così dicendo si era chinata per prendere il borsone che aveva appoggiato vicino alla porta dello studio.
“Continui a mettere la borsa del ghiaccio ogni due ore e la tenga per almeno dieci minuti.” le aveva suggerito.
“Sì, il ghiaccio.” aveva ribattuto lei con un’alzata di spalle.
Non aveva capito perché si fosse infastidita, in ogni modo pensò non fossero affari suoi e le fece strada verso l'uscita.
“Mi chiami se ha bisogno.” disse con cortesia e prima di congedarla le consegnò un foglietto con le note di comportamento da tenere nei giorni a seguire.
“Lo farò.” riuscì a biascicare la paziente mentre ripiegava ricetta e promemoria.
A metà pomeriggio di quello stesso giorno il telefono dello studio dentistico prese a squillare, era la prima telefonata della giornata. Lasciò cadere la penna sul giornale delle parole crociate e rispose al quarto squillo, tanto per dare l’impressione di essere un medico impegnato.
Sul momento non riconobbe la voce falsata da una probabile distorsione della mandibola.
“Sono venuta oggi per l’estrazione, temo mi sia saltato un punto.”
Fu facile ricordarsi dell’unica paziente della giornata, eppure prese tempo fantasticando su gli innumerevoli e immaginari clienti dello studio dentistico, prima di rispondere.
“Venga che rimediamo, credo di poterla inserirla tra un appuntamento e l’altro.”
“Sono in carcere, vengo appena posso.” fu la risposta dall’altro capo della linea.
Quella frase pronunciata con fatica lo lasciò interdetto e senza parole.
“Dottore è ancora in linea?”
“Mi scusi, non ho capito bene.” riuscì a balbettare dopo qualche secondo di troppo.
La conversazione che seguì chiarì i fatti. La paziente dell’estrazione non era stata incarcerata, era solo sul posto di lavoro con la funzione di agente penitenziaria presso la struttura della McAlester, prigione di massima sicurezza della contea. Il medico tirò un sospiro di sollievo.
La Orwell arrivò trafelata, portando con sé una grossa scatola di metallo gialla bruciacchiata in più punti. Il dottor Mayr le permise di portarla all'interno dello studio medico senza porre domande, tuttavia poco più tardi e forse per piacere personale, la donna si sentì in dovere di parlargli di quel particolare oggetto.
“Si tratta di un componimento narrativo, un progetto che hanno scritto dei detenuti una decina di anni fa o giù di lì, non so ancora di preciso, dovrei controllare e questo è ciò che ne rimane.” disse mostrando il contenuto della scatola gialla che era ricolma di fogli che puzzavano di bruciato, alcuni erano scritti a mano, altri a computer. Thomas storse il naso e Lisa Giulia Orwell, chiuse il coperchio.
“Non ho capito, di che progetto parla?" pronunciò con un certo imbarazzo, quella donna aveva il vizio di rendere le conversazioni irritanti.
Però è tornata, disse la sua voce interiore che era identica a quella di Jim Hutton nella memorabile interpretazione del famoso detective televisivo Ellery Queen.
Thomas ripeté la domanda impostando il tono della voce rendendola simile a quella dell’attore.
L’agente penitenziario liquidò la faccenda brevemente esponendo in modo confuso il progetto al quale si riferiva.
“Mi scusi, ho questo brutto vizio di dare tutto per scontato. È evidente che lei non sa nulla, però avrà sentito che sabato scorso c’è stato un incendio al carcere?”
“Certo era su tutti i giornali, so che non ci sono state vittime, una tragedia in ogni modo, chissà che paura sentirsi intrappolati.”
Lo guardò irritata, neanche fosse stata lei ad appiccare il fuoco. Il dottore tornò sui propri passi e cominciò ad armeggiare con i ferri chirurgici.
Lisa Giulia Orwell sbuffò sonoramente e attirò di nuovo l’attenzione su di sé mentre cercava la posizione più comoda sulla poltrona e riprese a parlare nel tentativo di rimandare ancora per qualche istante la seduta dentistica.
“È un componimento narrativo, credo collettivo, che alcuni detenuti hanno scritto molti anni fa. Se si sta chiedendo perché ho io la scatola gialla, non saprei cosa rispondere, era buttata là in mezzo a tutti i detriti, mi ha incuriosito e l’ho presa, ma quando l’ho aperta e ho visto che la maggior parte degli scritti era a penna, mi è passata la voglia di leggerlo, ho dato un'occhiata sommaria e niente più.”
Il dottore, titolare dello studio dentistico – Dottor Thomas Mayr denti sani, denti perfetti-, appassionato lettore e incallito fan della serie televisiva ispirata alle avventure di Ellery Queen, pensò e parlò così velocemente, che quasi non si rese conto che stava per chiedere a una perfetta sconosciuta di affidargli quel manoscritto e che se glielo avesse permesso, lo avrebbe letto lui e successivamente sempre se a lei avesse fatto piacere, avrebbero potuto incontrarsi in qualche luogo per bere qualcosa insieme e per parlare del romanzo. Non capì ciò che gli prese, ma le parole uscirono fluide e sincere.
“Lo lasci qui in studio, sa a volte mi prendo qualche minuto per me stesso, e leggere mi fa sempre piacere. Si è fatta un'idea di cosa tratta il testo?”
“È scritto a più mani.” rispose la giovane donna colpita dall’interessamento del medico.
“E’ un giallo? O forse un romanzo d’amore, o cosa? Una serie di racconti?”
“Senta dottore, non è semplice decifrare la calligrafia degli altri, ma certi personaggi ti restano nel cuore, è una scrittura semplice in più punti, ma le vicende descritte mi sono piaciute, per quanto sono riuscita a leggere.”
Il medico rimase pensieroso qualche istante.
“Se davvero vuole e se la sente, le lascio la scatola con ciò che rimane e dopo veda lei.”
“Ok ci provo.”
“ Se ci ripensa porto via la scatola con me e tanti saluti.”
“No assolutamente, no.”
Il dottor Thomas Mayr si preparò a controllare la ferita, inserì lo specchietto per verificare la situazione e con un rapido gesto sistemò il punto allentato.
“Nulla di grave, Lisa Giulia, è stata bravissima, non si preoccupi, deve solo avere un po' di pazienza e accortezza, vedrà è questione di un paio di ore e non ricorderà nemmeno di aver avuto il dente in bocca.” il suo senso umoristico era sempre stato banale, tuttavia la giovane donna sorrise alla battuta e cominciò a rivestirsi. Infilato il soprabito, prese la sua borsa, estrasse il portafoglio e pagò la visita.
“Ora devo andare, grazie e se ci ripensa, intendo per la lettura, mi chiami, verrò di persona a prendere il plico. Può buttare la scatola se crede e mi chiami Giulia. Lisa Giulia è troppo lungo.” aggiunse.
“D’accordo Giulia, le farò sapere.” Thomas la accompagnò fino alla porta felice come un ragazzino che ha vinto un altro giro di giostra.
“Sono stata fortunata, non ho dovuto aspettare neanche un minuto, come le altre volte.” aggiunse la giovane donna con aria solenne posando lo sguardo sulle poltroncine vuote della sala d’aspetto. Poi se ne andò.

La sera stava calando, il sole spariva velocemente dietro il palazzo dirimpetto. I bambini in strada gridavano concordandosi per il giorno dopo con gli amici, uomini e donne incupiti dai loro pensieri si recavano nelle loro case a passo svelto. Thomas guardò dalla finestra dello studio pronto a cogliere quel momento d’intimità che due giovani innamorati si scambiavano ogni sera a quell’ora proprio lì sotto. Non era un guardone, ma un romantico e un sognatore e se fosse potuto tornare indietro nel tempo, forse avrebbe fatto veramente lo scrittore e non il dentista, in fondo che cosa sarebbe cambiato, non avrebbe potuto eguagliare in successo i pochi eletti, ma di sicuro le sue finanze non ne avrebbero risentito. Lo studio dentistico era sicuramente una misera fonte di reddito e le sue pretese erano sempre state modeste.
Dopo una cena frugale a base d’insalata di pollo da lui stesso preparata e condita, aveva portato la scatola gialla in salotto e aveva cominciato a riordinare i fogli. In sottofondo il sonoro della televisione, la voce di Jmmy Hutton colmava il silenzio che aleggiava nella stanza e lo faceva sentire meno solo. Canticchiò mentalmente il motivetto della sigla e recitò le prime battute del protagonista che conosceva a memoria e intanto lavorava e impilava seguendo una semplice logica. Le calligrafie erano ben distinte e a mano a mano che procedeva nel dividere le pagine, le impilava in ordine crescente. A notte inoltrata, ogni plico era stato completato. Benché non avesse contato le pagine, tra quelle scritte a penna e, quelle al computer, più alcune che aveva ritenuto salvabili, il manoscritto nell’insieme era di una certa consistenza. Rimase qualche minuto assorto a contemplare quel tesoretto, indeciso su come procedere.
Lo stomaco prese a brontolare, era passata la una di notte e aveva ancora fame. Pensò alla porzione doppia di lasagne che aveva cucinato il giorno prima e in seguito surgelato per le serate tristi, noiose e soprattutto in solitudine e benché si sentisse su di giri ed eccitato, decise per uno strappo alla regola, quelle lasagne meritavano un’occasione speciale e quella sera lo era. Prima di coricarsi e dopo aver riordinato la cucina, guardò per l’ultima volta i fogli impilati sul tavolo di mogano antico che era sempre stato il vanto di sua madre e salì le scale verso la sua stanza da letto. Qualche istante più tardi, riaccese la luce e prese dal comodino il flacone delle pastiglie, ne prese una che inghiottì senza acqua, scosse il flacone quasi vuoto e si fece l’appunto mentale di ricordarsi di farsene prescrivere altre dal dottor Allen.





II


Lo studio del dottor Allen era situato al 246 di East Adam, era un palazzo moderno con un comodo parcheggio nel sotterraneo e un ascensore che portava direttamente ai piani. Thomas posteggiò la sua nuova Volkswagen Beetle marrone metallizzato negli spazi designati agli ospiti del centro clinico, scese dalla macchina, aprì il bagagliaio e sollevò la scatola gialla, un sorriso soddisfatto si disegnò sul suo volto quando la prese tra le mani. Inspirò l’odore di bruciato al quale si era ormai affezionato e richiuse il portellone.
L’ascensore era occupato e per un istante considerò di prendere le scale, ci ripensò e rimase in attesa. Erano comunque quattro piani e per quanto ultimamente si sentisse in forma, decise che non fosse il caso di presentarsi dal suo analista con la lingua stretta tra i denti. Attese con pazienza che l’ascensore raggiungesse il sotterraneo, lasciò che gli occupanti uscissero e finalmente pochi istanti dopo si trovò davanti alla porta del professionista.
Lo psicoterapeuta lo accolse con una calorosa stretta di mano e lo invitò a mettersi a proprio agio. Seguì con lo sguardo Thomas che lo precedeva abbracciando una curiosa scatola di metallo maleodorante e lasciò che si sdraiasse sul divano di pelle nera tenendola in grembo come il più prezioso dei tesori. Notò negli occhi del paziente un guizzo di gioia che a stento riusciva a trattenere, era chiaro che fosse sua intenzione parlargli di qualcosa di veramente entusiasmante, così decise di sorvolare sul fatto che per ben tre volte avesse saltato le sedute. Thomas si mise a sedere, posò la scatola per terra e gli chiese scusa per il proprio comportamento, ma lo assicurò che ciò che aveva da dirgli, era di estrema importanza e lo fece senza mai distogliere lo sguardo dalla scatola misteriosa.
“La trovo bene Thomas, ha un aspetto raggiante! Come sono andate queste ultime settimane?”
Con la stessa eccitazione di un bambino, Thomas sollevò il coperchio e gli mostrò il contenuto.
“Sono entrato in possesso di questo manoscritto che si è miracolosamente salvato da un incendio e ho il compito di mettere insieme tutta la storia in un componimento narrativo.”
Il dottor Allen si dimostrò incuriosito da questo evento che sembrava aver scosso il paziente dalla sua costante apatia; questo progetto, forse, gli avrebbe dato modo di ritrovare la fiducia in se stesso e il buon umore e magari aprire uno spiraglio verso una vita nuova. Si predispose ad ascoltare la storia narrata nel plico di fogli bruciacchiati, augurandosi che la sinossi del dentista fosse chiara e soprattutto concisa.
“Che ne pensa dottor Allen?”
“Direi che probabilmente la vicenda può piacere a chi ama il genere, purtroppo però la devo interrompere, abbiamo ancora solo pochi minuti e credo che a conti fatti, forse sarebbe meglio approfondire l’argomento, se vuole possiamo continuare la prossima volta.”
Thomas si rabbuiò all’istante e guardò l’orologio a parete, aveva ancora a disposizione una quindicina di minuti prima che la seduta si potesse ritenere conclusa.
“Ho capito dottore, lei non nutre il mio stesso interesse, eppure più volte, qui in questa stanza le ho detto che ho sempre desiderato scrivere un libro e ora, con questi appunti a disposizione potrei ricavarne un buon testo, non crede che mi farebbe bene?”
Lo psicoterapeuta non rispose alla domanda, ma a sua volta gliene rivolse una:
“Trova sia corretto utilizzare del materiale non suo?”
Thomas lo guardò risentito ed ebbe un moto di stizza alzandosi dal divano per riporre il manoscritto nella scatola gialla. Il dottor Allen lo lasciò fare senza proferire parola.
“Il mio tempo è finito, devo andare.” disse prendendo il contenitore sotto il braccio, dopo di che si fermò sulla porta e quanto disse subito dopo, lasciò sconcertato lo psicoterapeuta.
“Credo che interromperò la terapia, almeno per qualche tempo, devo riflettere su questo suo atteggiamento ostile riguardo a qualcosa che io ritengo importante per la mia vita e credo che in questo momento lei non sia la persona più adatta a seguirmi.” Parole dure ma sincere, il dottor Allen si alzò dalla poltrona e gli si avvicinò esortandolo a ripensarci, dichiarando che i problemi psicologici che lo affliggevano non erano da sottovalutare e che in tutti quegli anni di terapia, aveva raggiunto degli ottimi obiettivi; la sua decisione di abbandonare proprio ora, avrebbe potuto avere anche gravi conseguenze.
“La sollevo dall'incarico, mi mandi il conto via mail, le farò un bonifico a saldo.”
“Non sia così drastico, si prenda il tempo necessario per riflettere e poi...”
Thomas lo interruppe e fu inamovibile, doveva andarsene, non si sentiva a proprio agio, aveva bisogno di aria fresca. Lo psicoterapeuta valutò che fosse meglio non insistere, gli dichiarò di rispettare la sua decisione, ma si rese disponibile a riparlarne con calma e a continuare le sedute qualora ci avesse ripensato.
Rincasò demoralizzato e non più sicuro di voler continuare nel suo progetto perché, come detto dal dottor Allen, il materiale non era suo. Come aveva fatto a non pensarci! Chiuse il manoscritto nello sgabuzzino di casa e si strinse nelle spalle; la sua vita avrebbe ripreso il consueto ritmo monotono tra pazienti inesistenti e serate trascorse in solitudine. Più volte nei giorni a seguire, fu tentato di riprendere la scatola gialla, ma ogni volta che ci si avvicinava, ci ripensava e tornava sui propri passi e la scatola rimaneva là, chiusa nello stanzino.




III




La giornata era trascorsa lenta e monotona, pochi pazienti si erano seduti sulla poltrona dentistica e Thomas aveva in ogni caso operato senza indugio cercando di fare del suo meglio, mostrandosi cordiale e rassicurante, aveva perfino canticchiato il solito motivetto mentre infilava le mani nella bocca dell’ultimo cliente che se ne era andato soddisfatto e di fretta perché da lì a poco si sarebbe scatenato un temporale che nulla di buono faceva presagire. Le nuvole scure e cariche di pioggia incombevano sulla città e anche lui convenne che fosse meglio rientrare a casa; e si preparò a chiudere lo studio, controllò l’agenda, fece la spunta sui nomi dei pazienti della giornata e se la infilò nella tasca della giacca. Lo squillo del telefono lo sorprese nell’atto d’inserire la segreteria telefonica, optò perché la chiamata fosse registrata e pigiò il tasto. Il disco con il messaggio di orari dello studio partì all’istante. S’infilò il soprabito restando in ascolto. “Accidentaccio! Dottor Mayr, sono Giulia Orwell ho bisogno di vederla, è urgente.” Thomas non indugiò un attimo sentendo la voce della bella paziente e si precipitò all’apparecchio.“Buonasera Miss Orwell, cosa posso fare per lei?”
Per nulla stupita dell’immediatezza della risposta, la donna parlò con voce nervosa.
“È di estrema importanza, non posso spiegarle ora, ma la prego si sbrighi e porti con sé la scatola gialla. Ha presente, dove sono i box dello storage? Se non lo sa segua le indicazioni per la zona industriale, c’è un cartellone luminoso all’ingresso del piazzale. La aspetto là all'altezza del numero 147.”
Aveva riagganciato senza dargli il tempo di replicare. Quella Giulia Orwell era veramente poco diplomatica se non addirittura selvatica, pensò stuzzicato dalla curiosità dell’evento e sicuramente felice della opportunità d’incontrarla ancora, qualunque fosse l’emergenza. Con quel pensiero chiuse definitivamente lo studio e prese un ombrello dimenticato da chissà chi fuori dalla porta e si avviò verso casa, mentre le prime gocce di pioggia presero a scendere leggere ma insistenti.







Sonja Radaelli nasce a Milano il 4 settembre1960.

Collabora nell'azienda di famiglia che da generazioni si occupa di stampa. La passione per la scrittura ha segnato la sua carriera letteraria con la pubblicazione di testi teatrali, racconti e romanzi caratterizzati da pennellate di giallo. Dal 2012 è mediatore culturale linguistico presso istituti penitenziari in Lombardia. Giallo dietro le sbarre è il prodotto di questa esperienza.



Facebook: https://www.facebook.com/sonja.radaelli.5


Email: info@sonjaradaelli.it




viernes, 5 de febrero de 2016

LA LIBERTÀ VIOLATE DI ANTONELLA CAVALLO - MILANO - ITALIA






Dall'esperienza dell'autrice, che ha avuto rapporti diretti con le detenute della casa circondariale di San Vittore e con i detenuti del carcere di Bollate, nasce questa toccante e sconvolgente raccolta di racconti, dietro la quale si celano vite e sentimenti veri.

Le libertà violate è un'opera importante perché il cardine sul quale poggia è la prospettiva del detenuto. Importante perché permette di capire cosa significhi vivere dietro le sbarre: il dramma della ripetitività senza alcun obiettivo all'orizzonte, la pesantezza del passato che affossa mente e sentimenti, la paura che pervade nel momento in cui si è a un passo dall'agognata libertà…

Questo e molto altro è Le libertà violate, un viaggio tra le mura di San Vittore ma anche la scoperta di come, per un caso beffardo o per una scelta impulsiva, ci si possa ritrovare con la vita drasticamente rivoluzionata. Sogni e prospettive vengono spezzati, certo, ma si può scovare un'umanità che permette di rifiorire.

Sono stata a San Vittore, al reparto femminile, privilegiato come viene definito dai più… Sono qui tra le mie cose, i miei odori, i miei gatti, la mia intimità, la mia libertà, a pensare che se il corso della mia vita mi avesse indotta a fare una scelta diversa, avrei rischiato di essere al posto di ognuna di loro, privata della mia identità… (nda)

Antonella Cavallo vive a Milano in un antico borgo di case di ringhiera. Collabora nell'azienda di famiglia che da generazioni fabbrica apparecchiature scientifiche per la ricerca. Calcando le orme della genialità artistica del padre e del nonno inventore, gira il mondo alla ricerca di emozioni che cattura in immagini e parole. Pubblica poesie, racconti e romanzi. Dal 2012 si occupa di mediazione culturale e linguistica presso gli istituti penitenziari milanesi.
Le libertà violate testimonia la sua esperienza diretta.


FACEBOOK: https://www.facebook.com/antonella.cavallo.739

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Articolo: https://www.sullealidellascrittura.it/scrittori-anonimi-notizie-dal-carcere-di-bollate-disappunto/?fbclid=IwAR2KXdAF6muLUGX4DCIDrJ9aVeK_1y3Ss-16HI5DekXbnWIPsyP3G8KaGAo