lunes, 26 de marzo de 2018

FAUSTO RIZZO - SAN CATALDO - SICILIA - ITALIA





BIOGRAFIA.

La tematica fondamentale del “suo” mondo pittorico guarda al passato e ne ritrae la sofferenza in una convivenza critica con il presente.
Ultimamente si è soffermato sulla tecnica dell’ acquarello acquisita attraverso l’esperienza diretta della Scuola Gelese del Maestro Antonio Occhipinti.
Partecipa, attivamente, a mostre collettive di respiro Regionale e Nazionale incontrando sempre più consensi di critica e di pubblico, riscuotendo successo con premi e riconoscimenti ( 43 negli ultimi quattro anni ) che gli permettono di essere presente, oggi, in qualificate collezioni pubbliche e private in Italia e all’Estero.
Fausto Rizzo, nato a San Cataldo (CL) nel 1959, di formazione autodidatta, dove vive ed opera.
Nel 1999 fonda la Galleria d’arte “ Sikania Arte “ nel proprio studio, dove accentra alcuni dei maggiori esponenti artisti siciliani contemporanei, viventi e non, cercando di valorizzarne gli aspetti socio storico culturali, riunendoli in unico sito: www.sikaniarte.it


Della sua attività hanno scritto: Bernardino Giuliana, Santo Messina , Virgilio Argento, Nino Italico Amico, M.Teresa Prestigiacomo Galdi, Rosario Amico Roxas, Antonio Catalano, Antonio Occhipinti e Nuccia Grosso Azzaro.

Sue opere si trovano in: Italia, Francia, Belgio, Svizzera, Olanda, Australia, Canada e Stati Uniti d’America.

Scritti e notizie: Giornale di Sicilia, La Sicilia, Prospettive di Catania, AVIS di Mineo, La Torre di Canicattì, La Gazzetta dell’Etna, Azzurra TV di Agira (EN) , Teleacras (AG), il Mercatino di Catania, la Gazzetta del Sud, TFN, l’Isola della Cultura, il Peloritano (ME) e il Corriere del Mezzogiorno.

Un documentario televisivo è stato realizzato negli anni ’90 a cura e con la voce del poeta e regista Bernardino Giuliana.

Di recente e ben da sette anni si è dedicato alla poesia, avviando anche un progetto: Pittura-Poesia

Lo stesso infatti dice: avrei voluto da sempre dipingere con le PAROLE e solo adesso che scrivo anche, vorrei tanto poterlo fare con i COLORI.

RECENSIONI

Fausto Rizzo è artista di felicissima ispirazione e ancor di più felice mano.Nei suoi acquerelli, più che negli olii, ove la densità e la materialità dei colori appesantisce l’ala pittorica, la carta splende di immacolati biancori e dei tratti del disegno, pochi, timidi, e dei colori tenui, soffusi, delicati a comporre scorci di vedute, con chiese, strade, vicoli, angoli remoti, balconi fioriti, poche figure.Antiche pietre prendono così anima e rinascono al bello a ricordare una dimensione poetica in cui passato, presente e futuro dissolvono e il tempo par che si sospenda e par che soffi aria di esile eternità, seppur precaria.

Nino Italico Amico

Una poesia tessuta con colori e immagini a non perdere, quella che Fausto Rizzo propone nelle sue tele, tutte pregne di momenti architettonici e di luoghi cari alla memoria…
Un sentimento privo di qualsiasi formalismo compositivo prevale nelle sequenze pittoriche intuite e sollecitate soltanto da una gioia di fermare nell’angusta tela il tempo e la storia; l’emozione e la memoria.
Fausto Rizzo è pittore spontaneo e istintivo veramente capace di imprimere ai soggetti posseduti tutti i ritmi e le vibrazioni dell’arte visiva e senza laboriose interpolazioni.
Vivere queste emozioni per Fausto Rizzo significa riconciliarsi con il passato per comprendere il dolore e la gioia; i bisogni e i desideri; le sopportazioni e le speranze, insomma tutto ciò che fu vita vissuta da generazioni scomparse e non conosciute, ma non dimenticate per tutte le testimonianze ancora vive sia architettoniche che sociali e di tradizioni.
Un patrimonio morale e culturale che non va dissipato e dimenticato, ma custodito e meditato, per costruire gradualmente dalla memoria del passato una memoria per il futuro senza le stesse inquietudini e tutte le violenze.
Nelle immagini di Fausto Rizzo c’è tanta delicatezza di sentimenti, tanto amore per ogni cosa che vive, per ogni cosa che muore.

Bernardino Giuliana

La produzione artistica di Fausto Rizzo è solennemente interessata da temi ispirati alla sua terra: scorci, paesaggi, piazze incorniciate da palazzi e chiese ricchi di costumanze locali, figure, essi diventano per l’artista e il fruitore elementi, capitoli di storia, non aulica ma popolana, ritratta con sentimento ed espressione.
Le tecniche passano dall’acquerello all’olio alla china acquerellata. Dall’impasto coprente, alle trasparenze, tutto concorda in armonioso equilibrio.
I dipinti sono storia e poesia, interpretazione e, rappresentazione di una realtà che emana colore e forma.
I temi si configurano negli aspetti suggestivi del passato, nei lineamenti di vecchie case o solo elementi architettonici, spezzati ora da forti luci, ora placati di tenue atmosfera che veste il paesaggio di bruni colori.
La tavolozza risente di una propria interpretazione autentica e cadenzata.
Soggetto e interpretazione realizzati con tecnica libera e originali rilasciano al tempo presente un documento che è storia, storia e sentimento, espresso con note suonate a pennello.

Antonio Catalano

I colori sono chiari, l’impatto è immediato e denuncia sentimenti ambivalenti per quei luoghi così carichi di affetto ma anche, troppo spesso, fonti di disillusione e di rammarico.In Fausto ciò che prevale è la ragione, l’autocontrollo, l’ostinazione dei mattoni e delle tegole allineate, la ricerca della precisione denunciata dalla certosina pazienza nel riprodurre anche i minimi particolari come le screpolature delle finestre o le torsioni dei parapetti arruginiti dei balconi. L’ambivalenza nei confronti dell’ambiente, il disagio dell’autore è denunziato non solo dagli ambienti e dai toni: gli esseri animati, le persone, sono assenti dai quadri di Fausto e, quando ce n’è qualcuna, ha le sembianze di un minuscolo vecchietto senza futuro.Pare di cogliere qui l’insofferenza del pittore per l’egoismo, la superficialità dei rapporti interpersonali e la solitudine alla quale costringe la moderna frenetica realtà. I suoi lavori sono il frutto di quell’esercizio di libertà, frutto di impegno serio e costante, di disciplina e di rigore intellettuale, di curiosità di conoscere e di capire, di voglia di esprimersi e di comunicare. In conclusione bisogna dire che, prescindendo dal fatto che le opere rispecchiano le vibrazioni più intime dell’animo dell’artista che le ha generate, i suoi sentimenti, le sue passioni e le sue esigenze, quello che più interessa chi guarda, in un mondo che sempre più ottunde la coscienza, taglia le lingue e tarpa le ali alla farfalla della fantasia, è l’effetto che l’opera ha, le sensazioni che evoca, le emozioni che suscita.

Santo Messina

Fausto Rizzo nei suoi paesaggi ad acquerello usa un linguaggio semplice per parlare ai semplici, ai poveri, a chi vive fra i muri vecchi e screpolati della Città vecchia in quelle case senza pretese, ammucchiate, strette fra di loro quasi a darsi fiducia, a sostenersi l’una all’altra.
Rizzo coglie nel mondo popolare per proporlo agli amici, ai giovani all’uomo.
E’ facile accorgersi che si tratta di un acquerellista d’istinto e molto attento a riscoprire gli angoli della sua terra.

Antonio Occhipinti

La Sicilia di Fausto Rizzo custode di memorie.
E la memoria storica di Rizzo è la Sicilia, quella delle vecchie costruzioni di pietra che egli accosta alle immagini dei vecchi, entrambi unici testimoni della storia delle piccole comunità dell’entroterra isolano e gelosi custodi di memorie e segreti, questo sembra comunicarci l’artista nell’avvenire il fascino delle pietre siciliane – mirabile unione tra storia e natura – sopravvissute al degrado del tempo, in una Sicilia in cui si pensa e si sente come la gente araba e si agisce come quella greca.
È la Sicilia dei tetti di tegole, aggrappati ai pendii e carichi di rosso al tramonto; dei tetti abbracciati al campanile di una chiesa che, con i rintocchi delle sue campane, scandisce il ciclo delle stagioni dell’anno e della vita degli uomini: storie di gioia e di dolore, di mestizia e di festa, di lavoro e di noia, consumate attorno ad una piazza lastricata con gli stenti dei padri.
In tutte queste cose sta il senso della pittura di Rizzo che non si configura quale puro esercizio accademico, pur nella dovizia dei particolari rappresentati e nella precisione dell’esecuzione, bensì quale comunicazione di notevole sensibilità artistico – poetica che ha, tra i suoi obiettivi, la tutela dei beni culturali del territorio, quale presupposto della salvaguardia dell’identità socio – storico – culturale del suo paese, San Cataldo, e di questa travagliata isola d’Europa.

Maria Teresa Prestigiacomo Galdi

IL TEMPO LA STORIA LA MEMORIA
(Riesi – 7 Agosto 1999)
La “vernice” di Fausto Rizzo ha luogo in un sito perfettamente congeniale allo spirito dell’artista di San Cataldo che ama raccontare di vecchie pietre intimamente abbracciate alla natura.
Recita il porta libanese Kalhil: “L’arte è un passo che dalla natura conduce all’infinito” (“Art is a step from nature toward the infinite”) ed il pittore siciliano avverte tutto ciò quando rappresenta un vecchietto che guarda la natura e l’infinito e di ciò è sicuro quando si sente violentato dalle colate di cemento che alterano e distruggono i profili architettonici dei paesi e mutano la loro fisionomia, i loro connotati, consegnandosi alle nuove generazioni con un volto, per così dire, “moderno”, che cancella le vestigia del passato, stenti, sudori e ricordi di occhi e sentimenti leali.
Oggi, questa mostra di Fausto Rizzo, dal titolo Il tempo, la storia, la memoria, segna una tappa, una “pietra miliare” di un lungo e faticoso percorso artistico che trova impegnato l’artista nisseno in una mappatura di luoghi di memoria dei comuni dell’entroterra isolano, per ricercarne il gusto perduto, per fissare, catturare, dipingere le atmosfere del tempo.
L’artista, pertanto, coglie l’”animus loci”, l’anima del luogo, nelle sue “stratificazioni” culturali e politiche, negli oggetti che han servito l’uomo e continuano a servirlo nel tempo, modificando la loro funzione.
“…Quel est cet languer qui penetre mon coeur?…” recita una poesia di Jacques Prevert; ed è uno strano “languore”, un forte smarrimento, quello di Rizzo, comune a tutti noi, in questa tormentata vigilia di terzo millennio in cui ci si chiede sempre più frequentemente: “Chi siamo?”, “Verso quali lidi navighiamo?”, “Dove ci condurrà l’arte del terzo millennio?”.
Ne consegue che lo smarrimento dell’artista si concretizzi nella volontà, nel bisogno di esprimere la necessità di pensare e riflettere sui valori dell’esistenza umana e sulla sacrale dignità di persone e cose da rispettare e conservare e si esprima nel lanciare, con i suoi segni iconici, un dolce e bonario – ma non rassegnato – urlo di protesta per gli scempi già consumati.
Dal punto di vista tecnico, c’è da dire che non risulta casuale l’adozione di una tavolozza cromatica caratterizzata da cromie soffuse e delicate; anzi, le stesse, risultano funzionali alla narrazione pittorica, quasi come foto d’epoca, colorate a mano. Il disegno, nonostante sia preciso, attento, minuzioso, “pulito”, ben delineato, risulta svuotato di quel formalismo accademico, retorico, che non ha reso mai poetico nessun dipinto.
Di poesia, invece, ce n’è tanta, nelle opere di Fausto Rizzo: c’è la pascoliana, ingenua, felicità del giore per un vaso di fiori sul davanzale, per una crepa sui muri che sposa le ortiche, per un vecchio testimone di antichi segreti di un secolo di storia di Sicilia.
 E’ un cantore del passato, Rizzo, dal cuore antico, di quest’isola del Mediterraneo che intende vibrare ancora, in un mondo virtualmente costruito e costellato di e-mail, creando con la poesia delle sue opere un amabile ponte tra passato, presente e futuro, sempre indagando luoghi, storia e memoria, salvaguardando e tutelando l’identità socio-storico-affettiva di un territorio, opera particolarmente valida in un momento storico in cui si concretizza la fusione di diverse civiltà e culture d’Europa.

Maria Teresa Josè Prestigiacomo Galdi

Fausto Rizzo ed il fascino delle memorie“Le parole sono pietre” recitava il titolo di una delle tante pubblicazioni riguardanti il tema “mafia” in Sicilia. Invece nelle opere dell’acquerellista nisseno Fausto Rizzo, le pietre sono parole, cioè, raccontano la storia di una gente semplice e genuina, di paese; una epopea schietta e generosa di uomini modesti ma con un cuore grande.Questo intende comunicarci il pittore di San Cataldo, schegge di memoria – velate di una dolce malinconia – di paesi che il tempo e l’incuria degli uomini di poca sensibilità han ridotto a brandelli di pietre.Testimoni dello splendore dei tempi trascorsi, sono i vecchi; cosicchè il Rizzo accomuna questi ultimi alle case e ai palazzi abbandonati, quale “cronaca di una morte annunciata”, per dirla alla Marquez. Il tutto viene rappresentato attraverso una sapiente tecnica, frutto degli attenti studi accademici del Rizzo, con tratti precisi e ben delineati che non lasciano spazio all’immaginazione.L’acquerellista siciliano, sia che ci canti la decadenza della sua gente di Sicilia, sia che si perda nella contemplazione idilliaca della natura, mostra un’attenta analisi delle trasformazioni culturali – in senso antropologico – e del suo paese e della sua isola.Un attenzione tra le righe – che solo un attento fruitore dell’opera può rivolgere – è dedicata anche alla condizione femminile siciliana, mutata profondamente, nel corso degli anni.Riguardo l’armonia compositiva delle opere, essa viene conseguita dall’artista con l’adozione di una gamma cromatica di tinte pastello dalle delicate dissolvenze di colore che solo la mano di un attento acquerellista può offrire alla materia: il cartoncino cotonato che, pertanto diventa il mezzo attraverso il quale Rizzo lancia il suo accorato grido di dolore per quelle tracce di piccola ma grande storia che ognuno di noi vorrebbe trovare impresse in un luogo e che la logica dei profitti ha, spesso, frantumato.

Maria Teresa Josè Prestigiacomo Galdi

Per parlare di Fausto Rizzo ritengo necessario innanzi tutto parlare della sua tecnica, che è intimamente connessa alla sua vena creativa.Fausto Rizzo predilige il disegno colorato ad acquerello, una tecnica che consente di ottenere una vasta gamma di sfumature del colore, che appare sempre trasparente.Esigenza prioritaria di tale tecnica è l’uso di un fondo molto chiaro, possibilmente bianco; un tale fondo consente, attraverso una serie di passaggi di colore, di ottenere luci e ombre monocromatiche di diversa intensità.Con il gioco cromatico si ottengono le prospettive, le profondità di campo, con una visione quasi tridimensionale.A dirla così in breve sembrerebbe troppo semplice, occorre invece una grande padronanza innanzi tutto del disegno, quindi del senso della prospettiva architettonica.E’ una tecnica antichissima, sembra risalire al III° sec. a.C., periodo da cui provengono i primi esempi, fu particolarmente usata in Cina.Sembra addirittura che Marco Polo abbia portato con sé alcuni dipinti ad acquerello in Europa e fu subito motivo d’imitazione.La tecnica dell’acquerello cominciò ad affermarsi definitivamente con il filosofo della pittura Albrect Durer tra il 1400 e il 1500, quindi fu il momento dei paesaggi olandesi del 1600; si consacrò genere pittorico con gli acquerellisti inglesi del 1700.Fausto Rizzo si allinea alla grande tradizione acquerellista, seguendone anche le esigenze, che sono quelle della “pittura all’aria aperta”.Questa esigenza ci fa ricordare il grande Giacinto Gigante, della scuola di Posillipo, grande pittore e grandissimo insegnante, che dette inizio alla paesaggistica descrittiva, minuziosa, con grandi variazioni cromatiche, dalle quali otteneva tutte le sfumature necessarie allo studio e alla trasposizione del particolare.Il nostro Fausto Rizzo segue, forse istintivamente, tale strada, che peraltro rimane obbligata, data la tecnica prediletta; il paesaggio rimane, infatti, l’argomento descrittivo principale della tecnica dell’acquerello.C’è, ovviamente, alla base, una precipua esigenza sia nell’uso di tale tecnica che negli ”argomenti” trattati; Fausto Rizzo interpreta la memoria storica di un passato che ognuno di noi ha vissuto e continua a vivere negli angoli nascosti della nostra terra; la descrizione del paesaggio diventa poesia; il pennello e la tecnica riescono a trasformare la corposità della materia in moti sensitivi.Gli acquerelli di Fausto Rizzo sono ispirati a temi di vita quotidiana, angoli di realtà presi nell’attimo fuggente di una sensazione; scene che non restano astrattamente fissate nello spessore del disegno e dei colori, ma risultano animate da presenze reali, per dare concretezza ad un sogno, realtà alla immaginazione, vita vissuta nel quotidiano ripetersi dei momenti.Lirico interprete di modulazioni luminose, vive e vitali, introduce sempre nei suoi acquerelli la presenza della vita, vuoi nel vecchietto che trascina i suoi passi carichi di ricordi, oppure in un animaletto che attraversa la strada, o in un ciuffo d’erba, segni questi di distinzione tra una fredda descrizione grafica ed una partecipe fusione tra lirismo pittorico e realtà.Fausto Rizzo ama la “naturae nativam faciem “, realizzando in concreto il concetto che la semplicità è la condizione primaria dell’arte.Egli supera ogni esibizionismo culturale e si afferma come pittore del vero vivacizzato da presenze reali e concrete. La fresca vena coloristica, la spigliata e fantasiosa tavolozza, rimangono legati al tema che lo identifica: la sua terra, della quale ci offre lo spaccato più toccante, una Sicilia viva e vitale nei reconditi angoli della memoria.  

Acquarelli su troina (Enna)

tipo : Corso Ruggero Troina cm. 32x45


















Whastapp: +34 328-8240892

sábado, 3 de marzo de 2018

ENZA MARIA D'ANGELO - PARTINICO - SICILIA - ITALIA






“Peccato d’orgoglio e damnatio memoriae: le compositrici ritrovate”

Se per tanto tempo la storia della musica ha fatto silenzio sulle donne che si sono dedicate alla musica, ha fatto un torto ad oltre 600 compositrici, oggi dimenticate se non addirittura di cui si è volutamente negata l’esistenza stessa. Dettagli insignificanti?
Nella cultura medievale i trovatori itineranti, uomini o donne che fossero, potevano suonare liberamente nelle corti. Tra questi solo alcune donne seppero distinguersi. Nella musica medievale troviamo delle musiciste, ma sempre accanto a figure maschili che ne permisero la visibilità: Eleonora d’Aquitania, regina di Francia e poi d’Inghilterra, mecenate dei trovatori; Beatrix contessa di Dia e moglie di Guglielmo di Poitiers, forse la più alta tra le voci femminili della scuola trabadorica; Tibors de Sarenom, sorella di Raimbaut d’Orange e Maria de Ventadorn, moglie del trovatore Bernard; Hildegarde von Bingen, cosmologa, drammaturga, linguista, botanica e filosofa. 
Tra Cinquecento e Seicento le musiciste erano semplicemente identificate come figlie, mogli o sorelle di uomini illustri. Parliamo di donne come Isabella Leonarda, “la Musa Novarese”; come lei anche Francesca Caccini, “la Cecchina”, è accolta nella corte medicea grazie alla notorietà di suo padre, Giulio, divenendo un’apprezzata musicista barocca. 
A partire dal ‘600 le donne di buona famiglia rivelavano nella capacità di suonare la loro educazione raffinata, come “signore della musica”, non esattamente come musiciste. È il caso di Barbara Strozzi, che si esibiva con successo nei salotti nobiliari.
L’occasione di acquistare notorietà arriva per le musiciste con l’affermarsi del melodramma nel Seicento. Le donne che si conquistavano una notorietà erano però in antitesi con la morale comune, perché troppo distanti dall’ideale femminile. Un posto a parte occupa la compositrice francese Elisabeth-Claude Jacquet de la Guerre, la più importante musicista del Seicento. 
Ma bisognerà aspettare il Settecento perché possano arrivare alla pubblicazione le composizioni di ben ventitré musiciste italiane.
All’inizio dell’Ottocento una donna, Maria Rosa Coccia, potrà definirsi propriamente “musicista”. Lei resta comunque senza occupazione nell’ambito musicale, perché le leggi vigenti vietavano alle donne di esercitare la professione nelle chiese e nei teatri di Roma. 
Rimane da chiedersi se la damnatio memoriae sia un destino riservato alle donne o una conseguenza della presenza di un padre, un fratello o un marito talmente luminoso da relegare all’ombra la donna. Il pensiero va immediatamente a Nannerl Mozart, che riscuoteva lo stesso successo del fratello come enfant prodige nelle corti europee, ma interruppe presto la sua attività musicale; Fanny Mendelsshon, che pubblicò opere a suo nome, mentre si esibiva spesso eseguendo il repertorio del fratello; Clara Schumann, straordinaria pianista e compositrice talentuosa, nonché insegnante innovativa, che promuoveva insieme a Brahms la musica del marito.
Finalmente nel Novecento le donne cominceranno ad ambire ad un ruolo da protagonista, ed è il caso anche di musiciste  palermitane come  le  sorelle  Maria Giacchino Cusenza e Livia Giacchino Paunita, o anche Barbara Giuranna. Ma solo tra  gli anniOttanta e Novanta de Novecento le artiste si imporranno incontestabilmente e definitivamente negli scenari musicali, e saranno le star della musica conosciute in tutto il mondo. Finalmente le donne si affermano nel mondo musicale, non più come caso straordinario ma ordinario. Possiamo oggi citare compositrici come Amy Beach e Rebecca Clarke, o Nadia Boulanger e Sofia Guibaudolina, il soprano Maria Callas, la pianista Martha Argerich o la violinista Anne-Sophie-Mutter e la prima direttrice d’orchestra alla Scala, Susanna Malkki, per cui dobbiamo aspettare fino al 2011!
La conquista della cultura odierna è aver dato alle donne la possibilità di ricoprire determinati ruoli, senza che ci sia più necessità di porsi questioni sulla differenza di genere e su una presunta superiorità maschile in quanto a valore artistico. 
Ormai è chiaro che la genialità non è una questione di genere!